Mamme e lavoro sono due parole che sembra non stiano bene insieme. I motivi sono tanti, ma un comune denominatore c’è: lo stato non aiuta le mamme e tantomeno le famiglie.
I racconti degli altri, quando ancora non sei madre anche tu, non bastano a rendere l’idea, realizzi veramente quali siano gli impedimenti solo quando ti ci ritrovi in mezzo. Nel bel mezzo dei casini insomma.
Ne abbiamo parlato tante volte, vi ho raccontato la mia esperienza e voi la vostra e, anche se ognuna ha storie diverse, alla fine il succo è sempre lo stesso: vorremmo che qualcosa cambiasse, vorremmo più tutele ed aiuti concreti e non trovarci per forza a scegliere fra crescere i nostri figli e lavorare.
Come sapete io, terminato il percorso universitario, sono andata a lavorare presso uno studio legale romano e li ho investito tutto il tempo e le fatiche dei miei primi anni di vita indipendente (troppo tempo e troppe fatiche, ma questo è un altro discorso). Lavoravo, come tanti, davvero molto, inizialmente per pochi euro, ma davo il massimo, ero sempre disponibile, educata, pronta.
Durante questo percorso fatto di tribunali, clienti, atti e corse fra tribunali, clienti e atti, è entrato un progetto molto interessante che, con mia grande riconoscenza, è stato delegato a me.
Pertanto, per qualche mese durante il pomeriggio, mi sono recata per conto del mio studio nella sede di una delle più grosse multinazionali italiane dove svolgevo attività di consulenza contrattuale immobiliaristica. Un lavoro enorme, tutte le sedi italiane facevano capo a me che di esperienza per affrontare un impegno del genere, detto fra noi, proprio non ne avevo ancora, ma me la sono cavata perché ho cercato di essere sempre seria, responsabile ed umile. Insomma, mi sono fatta in quattro svolgendo a dovere il mio lavoro e da questa esperienza ne sono uscita con un bagaglio davvero importante.
Ho fatto questa premessa affinché poteste capire quanto oggi voglio raccontarvi. Un episodio che, fino a quando non avevo ancora mia figlia non mi aveva toccata più di tanto, mentre, da quando è nata, mi rimbomba spesso nella testa fino a darmi il volta stomaco. Ricordo bene che un giorno, al bar della sede, in occasione di una delle poche visite che faceva il mio capo per controllare la situazione, il dirigente, mio referente in questo progetto, mi chiese “e tu quando lo fai un figlio?”. Non ebbi nemmeno il tempo di rispondere perché il mio capo lo fece per me: “No no, non facciamo scherzi eh, lei non deve pensarci nemmeno a fare un figlio, perché sennò io come faccio?”. Scese il silenzio, una battuta così infelice che si vergognò anche il barista.
Il mio capo all’epoca aveva circa dodici anni più di me e una figlia nata da poco più di un anno.
Il mio capo la figlia l’aveva fatta “tardi” perché probabilmente a sua volta “non glielo avevano permesso”.
Il mio capo era un grande stronzo, come purtroppo ce ne sono tanti.
Ah, mi sono dimenticata di dirvi una cosa: il mio capo era una donna.
Come potrà mai cambiare qualcosa?
Mamme e lavoro: due termini che insieme descrivono alla perfezione il significato di utopia.
Laura