La sindrome della capanna è ciò che ci spinge a non uscire durante la fase 3. Si manifesta soprattutto con ansia, tristezza e paura di uscire di casa.
Chi sta ancora soffrendo per la fine della fase 1 e per il ritorno alla normalità? Niente di strano, si tratta di un momento del quale, chi più e chi meno, ne risente ed è denominata sindrome della capanna. Tale sindrome, sebbene ancora non riconosciuta, è nota nel campo della psicologia. Definita come una dimensione emotiva che si manifesta principalmente in seguito a lunghi periodi di solitudine e distacco dalla società, luoghi pubblici, lavoro e simili. Si verifica anche dopo diversi periodi di convalescenza oppure dopo esser stati chiusi in casa per determinati motivi.
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Il lockdown ha causato proprio questo. La pandemia di Coronavirus ci ha costretto a rimanere a casa per quasi tre mesi vietando di vedere i nostri amici o parenti e di continuare la nostra vita quotidiana. Ed ora che finalmente siamo più liberi di muoverci, siamo attaccati da un senso di misantropia e disagio, nonché tristezza, ansia e voglia di tornare a casa. Nei casi peggiori in molti evitano addirittura di uscire di casa, trovando scuse per sé stessi e nascondendosi dietro la paura del virus ancora vivo e non ancora superato. Queste sensazioni non vanno sottovalutate, poiché potrebbero aggravarsi e collegarsi ad altri veri e propri traumi. Per questo bisogna correre ai ripari!
Cos’è la sindrome della capanna
Definita in inglese cabin fever, la sindrome della capanna prende anche il nome di Sindrome del Prigioniero. Riferendosi in particolar modo ai cercatori d’oro statunitensi dei primi anni del Novecento. Costretti a passare interi mesi all’interno di una capanna concentrando la loro attività solo durante alcuni periodi dell’anno. I cercatori vivevano per l’appunto in uno stato d’isolamento. Quando tornavano alla realtà venivano perseguitati da paura, rifiuto di tornare nella civiltà, misantropia o sfiducia, seguiti da stress e stati d’ansia. Anche chi ha vissuto periodi di convalescenza (magari a letto per malattia), oppure semplicemente a causa di un trauma affettivo, si ritrova a disagio e a vivere nell’insicurezza quando bisogna affrontare la realtà. Arrivando ad un disorientamento all’idea di ricominciare a prendere contatto con tutto ciò che c’è al di fuori della propria casa.
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La capanna (o in questo caso la propria casa) è una concreta forma di certezza. Conoscendone tutti gli angoli ed avendo ormai scandito dei ritmi ben precisi creando una routine, è vista come approdo sicuro e senza “pericoli”. Vi rivedete anche voi in quest’ultima frase? È così che abbiamo passato tutti la quarantena. Cercando di tenerci attivi tra le quattro mura con abitudini quotidiane, pulizie, un po’ di esercizio fisico, smart working e attività con i bimbi. Adesso che dovremmo (finalmente) ritornare alla quotidianità, soffriamo di insicurezza e malessere con diversi sintomi.
Quali sono i sintomi e quando preoccuparsi
Come spiegato anche dall’articolo della dottoressa Roberta Senese su “Pagine Mediche“, i segnali o sintomi della sindrome della capanna sono generati dalle nostre sensazioni. Il quadro sintomatologico è corredato da una serie di sensazioni e sentimenti:
- Irritabilità: ci arrabbiamo per motivi futili sfogandoci senza filtri;
- Sentimenti negativi: tristezza, paura, angoscia e frustrazione, anche questi privi di motivazioni fondate, ci accompagnano fin da quando ci svegliamo e non riusciamo a liberarcene;
- Difficoltà nel concentrarsi: è come essere continuamente distratti, mentre pensiamo ad altro e abbiamo anche difficoltà nel ricordare qualcosa (tipo la lista della spesa, un appuntamento o una semplice data);
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- Letargia: sensazione di stanchezza con una voglia di riposo totale e dormire. In questi casi il sonno potrebbe coglierci anche mentre lavoriamo o portiamo i bimbi a scuola;
- Demotivazione: è ciò che accompagna il tutto. Lo stress vi causa anche una sensazione di demotivazione “perché lo devo fare? Non mi va”. Alcune volte non si ha neanche la forza di fare le più piccole cose (fare uno spuntino, giocare con i bimbi, fare una passeggiata) perdendo completamente ogni stimolo.
In alcuni casi ai sintomi più generici possono accompagnarsi altri segnali più complessi: ad esempio creare scuse per evitare di incontrare amici e parenti. Oppure cercare scusanti poco convincenti per evitare di uscire a fare la spesa, magari anche non voler prendere appuntamenti neanche con il parrucchiere o l’estetista diventa un segnale forte da non poter ignorare.
Sono tutte situazioni in cui non si vuole affrontare la realtà e che possono anche peggiorare il problema, andando ad aggiungersi ai sintomi della sindrome della capanna, ma anche a creare nuovi problemi sociali.
Quali sono le motivazioni attuali?
Ma attualmente quali sono le cause della Sindrome della capanna? Perché riusciamo a sentirci davvero più sicuri in casa che all’esterno? Naturalmente la prima causa, la più ovvia, è dettata dalla paura del covid-19: il rischio di contagio è ancora forte tra i nostri pensieri, nonostante il numero sia calato e sia tutto molto controllato. Ed è così che ci viene quasi spontaneo pensare che per evitare il contagio bisogna non frequentare luoghi pubblici, vedere meno gente, limitare gli spostamenti, com’è stato fatto negli ultimi mesi.
Inoltre, le limitazioni comportamentali vanno ad aumentare l’ansia: metro di distanza, guanti, evitare di avvicinarsi se non con la mascherina, ci fanno sentire ancora più distanti gli uni dagli altri. Inoltre, anche le attività più normali che facevamo sono diventate poco naturali: prendere un caffè al bar, comprare un giornale, fare shopping, non è più come prima…
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Un altro motivo di ansia si collega al fatto che molte abitudini sono cambiate, quindi è difficile ritrovare i ritmi che abbiamo perso o (in tutta questa insicurezza) trovarne dei nuovi. In più, abbiamo “dimenticato” il benessere di molte abitudini: ad esempio uscire il sabato sera, oppure fare attività sportiva o semplicemente scegliere di trascorrere alcuni pomeriggi con le amiche. Tutte attività ricreative che sono state rimpiazzate da abitudini casalinghe e rassicuranti: pulire una stanza, cucinare, prendersi cura dei figli, lavoro da casa, una serie di ragioni che ci permette difficilmente di ritornare alla vecchia vita. Ma allora come risolvere la sindrome della capanna?
Come risolvere le proprie ansie o paure?
La Sindrome della Capanna spesso diminuisce col tempo: si normalizza o si adatta a nuove condizioni e “forzature”, come ad esempio portare il proprio bambino dai nonni per sbrigare alcune commissioni o il ricominciare a lavorare. Tuttavia, nei casi più estremi, molti medici e psichiatri danno consigli capaci di ridurre la dimensione del problema. Tra questi:
- Capacitarsi delle emozioni negative: le emozioni negative fanno parte del nostro io. Ergo, quello che potete fare è accogliere l’ansia, l’emotività e la tristezza, capirne la radice, elaborarla, ricordarvi che è normale sentirsi un po’ angosciati in situazioni del genere, ma soprattutto cercare di riprendere in mano la propria vita con sentimenti positivi;
- Prendersi cura di sé: coccole! Che si tratti di un dolcetto, un po’ di shopping (meglio se in negozio), oppure un bagno caldo. Vi aiuterà a tranquillizzarvi e a pensare che tutto è fattibile!
- Organizzare le giornate: lavoro, tempo libero, bambini, esercizio fisico, casa. In questo modo avrete tutto sotto controllo e potrete gestire il tempo senza dare spazio a preoccupazioni eccessive;
- Passare del tempo in famiglia: la cura migliore del mondo. Che sia un film, un pranzo, una cena, è altamente d’aiuto creare la serenità in famiglia. Anzi, saranno proprio loro ad aiutarvi a fare piccoli passi per volta e riprendere la vita di sempre. Potete anche effettuare passeggiate con loro, fare attività fisica semplice come lo Yoga (ovviamente nulla di complesso quando si sta con i bimbi) e simili.
Ma ciò che di più importante potete fare è ascoltarvi: se la vostra paura diventa ingestibile e impossibile da controllare, cercate di prenderne coscienza e pensare di rivolgervi ad uno specialista. Questo periodo di quarantena è sicuramente stato complesso, ma la sindrome della capanna potrebbe anche contenere disagi pregressi. Proprio per questo, in caso la situazione peggiori, è assolutamente necessario l’aiuto di un professionista.
E voi? Come avete vissuto la fine della fase 2?
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Fonti: Pagine Mediche, Guida Psicologo